LA PROVINCIA DEL ROCK
Intervista a Beppe Carletti, anima dei Nomadi, che racconta dell’incontro con quel ragazzo di Novellara: “Eravamo a suonare in un locale di Trecenta…”
Un reggiano di Novellara Augusto e un modenese di Novi Giuseppe, dopo un incontro casuale ma scritto nel destino di entrambi, hanno dato vita alla più longeva band italiana di sempre e la seconda al Mondo dopo i Rolling Stones. Del primo incontro con Augusto, Beppe ricorda tutto come se non fossero passati circa 60 anni. "Eravamo in un locale di Trecenta, in provincia di Rovigo. Un chitarrista che era con me – racconta – mi disse che aveva portato con sé un ragazzo che faceva il cameriere a Novellara e che sapeva cantare: era Augusto. Salimmo insieme sul palco e da quel momento non ci separammo più. Ce ne andammo per 77 giorni consecutivi a Riccione a suonare, sia il pomeriggio che la sera. Era il 1963". Augusto e Beppe erano tra i frequentatori del Bar Grande Italia di Modena, in largo Garibaldi, di fianco al teatro Storchi, qui conobbero anche il loro primo manager Dodo Veroli. Il Bar Grande Italia e i suoi frequentatori, fecero diventare la città della Ghirlandina per un periodo una sorta di Liverpool o una swinging London dove si parlava di musica e nascevano nuovi complessi (all’epoca le band si chiamavano così). Qui nacque il Beat italiano tra pantaloni a tubo e minigonne. Così ricordava quel periodo l’inarrivabile Edmondo Berselli "Eravamo appena usciti dalla convenzione del melodico moderno di Gianni Morandi e dai sussurri e le grida di Rita Pavone, dal ballo del mattone, dal pullover, dal barattolo, dal cane di pezza, da giovane-giovane-giovane, dal cha-cha-cha: e davvero la deflagrazione mondiale di 'Please Please Me' aveva scompigliato le nebbie della provincia". Per Edmondo Berselli "Era decollata un'altra epoca, e la capitale del mondo riconosciuto era ovviamente Londra con le sue cavern. La modernità era un brivido di chitarre e batterie: c'era in giro un'eccitazione mai sentita prima. Era venuto il momento in cui si potevano indossare le giacchettine striminzite, i pantaloni a tubo, i berrettini, le camicie eccentriche, e farsi crescere moderatamente o smodatamente i capelli, e comprare religiosamente ogni settimana Ciao Amici o Giovani". Ed è proprio al Bar Grande Italia di Modena che l’embrione dei Nomadi conosce un giovane, ma già iconico Francesco Guccini con il quale nascerà una profonda amicizia e una proficua collaborazione. Solo oggi, a 28 anni dalla morte di Augusto Daolio in quel 1992, Annus horribilis, quando morirono Falcone e Borsellino ma anche Dante Pergreffi, il 30enne bassista dei Nomadi in un terribile incidente stradale, Beppe Carletti è riuscito a dedicare esplicitamente all'amico, al fratello Augusto una canzone inedita, intitolata 'Il segno del fuoriclasse', preziosa traccia contenuta nel nuovo album di inediti 'Solo esseri umani', uscito il 23 aprile in formato vinile trasparente, cd e digital download. “C’è anche un pezzo dedicato ad Augusto, dopo 28 anni che non è più con noi, ho pensato che era arrivato il momento giusto, se l’avessimo fatto nell’immediato qualcuno avrebbe detto che lo facevamo per sfruttare la cosa, ma dopo così tanto tempo non penso ci sia niente da sfruttare, ma c’è da continuare a ricordare, con il testo volutamente disegnato sulla sua figura, era un grande artista, ha lasciato il segno”. "Dalla nostra amicizia, nata su un palco, è partita la storia straordinaria dei Nomadi – racconta Beppe Carletti – una storia che continua con gli stessi valori delle origini, primo fra tutti la coerenza, e che potrebbe presto essere raccontata in un film". I ricordi sono innumerevoli. "Quando si andava a fare un concerto in un paese – racconta Beppe – Augusto, che dormiva pochissimo, se ne andava di buon'ora a cercare siti archeologici e le particolarità del luogo e la sera le raccontava sul palco. Era curioso, aveva sempre un libro in mano, dipingeva, aveva fame di vita". 'Il segno del fuoriclasse' è un omaggio a quel ragazzo con cui Carletti ha condiviso 30 anni di musica e di amicizia, dai 16 ai 46 di età, "gli anni più belli, quelli in cui si fiorisce e si diventa uomini", sottolinea. Una fortuna per lui essere il tastierista dei Nomadi e non il cantante, altrimenti, spiega, "sarebbe stato impossibile riuscire a cantare di Augusto senza commuoversi". Questo pezzo, come tutto l'album, è figlio del lockdown e del bagno nei ricordi suscitato da questi mesi di vita rallentata. Ma non è la malinconia il tratto saliente. "Le parole chiave sono Valori, Amore e Vita. Vita, amore e valori sono parole che circolano nei testi di tutti i nostri brani. È stato un percorso lungo e creativo. Ci siamo guardati dentro, con la mente e il cuore rivolti al nostro senso di collettività e a chi non c'è più, con una luce di speranza. Non so quante canzoni ho inciso ma credo che questo album sia uno dei più belli che ho ascoltato in questi anni", aggiunge. Per Beppe i testi delle canzoni sono importanti perché non sono solo canzonette. “Non siamo un gruppo che produce delle hit. Non facciamo canzoni tanto per fare un disco ma speriamo di fare canzoni con dei contenuti”. La formazione dei Nomadi è cambiata negli anni con avvicendamenti al microfono del cantante, "in questi anni – sottolinea Carletti – sono stati 24 i Nomadi che sono saliti sul palco e ognuno di loro ha dato il proprio contributo e lo spirito è quello delle origini e Augusto è vivo, anche per i più giovani che non lo hanno conosciuto ma chiedono di lui". Oltre alla musica il suo grande amore è viaggiare, del resto non sarebbe un nomade anche se ha iniziato tardi a girare il mondo. Fino a quando era in vita Augusto i suoi viaggi si limitavano (si fa per dire) ai tour per l’Italia con decine e decine di concerti ogni anno. Poi, nel 1992, dopo la morta di Augusto la svolta. Il primo viaggio, sull’onda di una raccolta di quaderni e matite a favore dei bambini cubani, Beppe con i Nomadi arriva all’Avana nel 1994 con un grande concerto nella capitale sotto embargo da parte degli Stati Uniti. L’obiettivo dell'iniziativa: dare sostegno alla campagna di solidarietà con i bambini cubani ''Un bastimento di carta, un mare di inchiostro'', che ha portato alla raccolta di 50 tonnellate di carta, un milione di matite, 30 metri cubi di materiale didattico, oltre a un contributo per il periodico degli scrittori cubani ''La Gaceta''. Dopo Cuba, Beppe non si è più fermato dal Centroamerica all’Asia, dall’Europa dell’est all’Africa. E in tutti questi viaggi oltre alla solidarietà, Carletti andava alla scoperta di quel Paese incontrando la gente comune e figure carismatiche come il Dalai Lama, Arafat o il Papa. “Ho fatto tanti viaggi da quel lontano 1992 e nessuno in villaggi turistici o viaggi vissuti come semplici vacanze. Ho sempre voluto andare al cuore del Paese visitato. E a proposito di cuore, quello che occupa maggior spazio nel mio è la Cambogia con la sua bellezza e le sue contraddizioni”. Carletti ricorda così la sua adolescenza a Novi “La mia era una famiglia di operai: mio padre lavorava solo sei mesi all’anno, solo d’estate. La miseria la stringevi con le mani ma il pane non mancava mai. Siamo cresciuti sani: non avevamo niente ma avevamo tutto. In quel periodo eravamo tutti poveri, nessuno invidiava l’altro. L’amore per la musica nasce dalla radio. Mio padre si è permesso una radio e da quel momento a poco a poco iniziavo ad ascoltarla anche di nascosto.” Carletti da sempre difende la sua scelta, che fu anche di Augusto, di continuare a vivere in provincia respingendo le sirene della grande città “Abbiamo scelto di vivere in provincia, di non avere i ritmi veloci e ossessivi della città, proprio per potere pensare alle cose standone ben fuori. In città poi si può sempre andare quando serve. Quella di stare un po’ in disparte, di vivere fuori, è sempre stata una mossa vincente, perché ci ha permesso di crescere come volevamo, di andare al cinema, di viaggiare, di amare” Carletti ama la musica, ama suonare, ama andare su un palco e fino a quando ne avrà la forza salirà i pochi scalini che lo portano alle sue amate tastiere “La nostra è un’arte povera ma è pur sempre arte. Il pittore non si stanca a dipingere i quadri, o lo scrittore a scrivere libri. Certo, non mi voglio paragonare a un poeta, ma è la mia vita. Avevo sedici anni quando ho iniziato con Augusto e ne ho settantaquattro, non mi sono mai annoiato, anzi ho più carica oggi rispetto al passato. Non ci siamo mai fermati e non ci fermeremo. Devo dire, però che sono deluso per come la politica ha trattato il mondo dello spettacolo nel suo insieme. La musica non è solo chi va sul palco a prendere gli applausi, ma anche chi permette all’artista di andarci su quel palco. Troppo spesso la musica definita leggera è vista come cultura di serie B ma, voglio ripetermi, non sono solo canzonette". I Nomadi danno lavoro a circa 20 famiglie. Facevamo 80 serate ogni anno, ora ne facciamo pochissime, con il pubblico seduto e distanziato. Hanno le mascherine – conclude – ma ci sorridono con gli occhi.
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