CARI AMICI MIEI...
TERAPISTI A QUATTRO ZAMPE CONTRO L‘ISOLAMENTO
Di Elena Benassi
I due "Umarell" che vedete affacciati alla finestra siamo io e la mia Pulce. L'ho ribattezzato proprio così, quando la veterinaria a cui l'ho portato per il primo controllo post adozione si è rifiutata di scrivere sul libretto quello che doveva essere il suo nome, ovvero Xsamil, in onore alla località albanese in cui mi trovavo l'estate scorsa quando, scorrendo tra le immagini di una volontaria, vidi quella che immortalava quello scricciolo minuscolo. Un amore scoccato da una foto, dove lui dormiva nella culla di una bambina che aveva suppergiù gli stessi suoi giorni di vita. Una "cozza", pensai. E fu così che quella pulce nera e saltellante, di nemmeno tre mesi, entrò a piccoli balzi nella mia vita appena tornata dalla vacanza. Cozza lo è ancora, pulce molesta e un po' fastidiosa pure. Ma è anche la mia ombra. E in questi giorni di isolamento forzato non mi ha mai lasciata sola. C'era quando, nei giorni in cui lavoravo da casa in smart working, mi mettevo al computer (e lui, letteralmente, sulla tastiera del pc portatile). C'era quando pranzavo o cenavo da sola a tavola (e lui sopra, accanto al piatto, con le zampette avvinghiate al bicchiere) e c'era quando mi mettevo sul divano a guardare la tv (e lui posizionato sul mio collo a mo' di sciarpa). C'era a letto, dove dividevamo il cuscino e c'era (occupando la scena) nelle lunghe videochiamate con amici o parenti. Appiccicato a me o, in alternativa, sul davanzale della finestra. Ed era lì che a quel punto io lo raggiungevo, in particolare al mattino, quando il sole entrava con i suoi caldi raggi primaverili. La mia finestra preferita, quella che si affaccia direttamente sulla piazza e guarda diritto il castello, era diventata la nostra finestra sul mondo. Da lì, unico contatto con l'esterno, osservavamo la vita che, nonostante tutto, procedeva. Mai, come allora, mi ero così soffermata ad osservare. Tante volte avevo guardato fuori, semplicemente, ma senza vedere davvero, senza fermarmi il giusto tempo per considerare quello che si svelava davanti ai miei occhi. Servivano ritmi diversi, quelli con cui una pandemia ti costringe a fare i conti, che tu lo voglia o no. E serviva silenzio, per cancellare il rumore di fondo della quotidianità. Ho visto arrivare le rondini (e quante!) e le ho sentite cantare. Ho visto una coppia di gheppi fare il nido in una cavità muraria sulla facciata della rocca e li ho visti volteggiare ad ali spiegate sulla piazza. Ho visto topolini correre veloci lungo i muri dei palazzi e gatti appostati sui muri stessi a caccia. E cani, tanti cani, anche se pur sempre gli stessi, in passeggiata con i loro padroni. Non nego di averli invidiati, qualche volta: loro sì che avevano una "scusa" per uscire. Che magari qualche volta hanno meramente utilizzato per una boccata d'ossigeno extra. Ma quando saranno loro, i cani, animali sociali per natura, a chiedere di uscire quella volta in più, a tirare per allungare la passeggiata, a pretendere quelle attenzioni che oggi ricevono, otterranno risposte ai loro bisogni? O, quando le porte si riapriranno del tutto e ripiomberemo nella quotidiana frenesia dimenticheremo quanto loro hanno saputo amarci semplicemente rimanendoci accanto? Vi riporto qui una testimonianza, una su tutte, raccolta in una sorta di "sondaggio" che ho voluto lanciare su Facebook, chiedendo ai miei contatti di raccontare chi e come fosse rimasto loro accanto in questo periodo di isolamento. Tra la miriade di foto di cani e gatti accoccolati ai loro proprietari, poche semplici parole: "I miei ragazzi pelosi mi sono sempre rimasti vicino. Lo confesso, ho avuto attimi di vero sconforto nel trovarmi improvvisamente chiusa in casa. Ma in quei momenti loro, sempre vigili e presenti, sono piombati tra le gambe, hanno cercato le mie carezze e piano piano il sorriso tornava". Perché è questo che gli animali, nostri fedeli compagni di vita, fanno: come se in quei musetti avessero piccoli sensori in grado di captare malumori e sofferenze, tristezza e sconforto. Terapisti a quattro zampe, insomma, che di certo non fanno miracoli ma aiutano nei momenti difficili, quando il tempo sembra dilatarsi e le giornate non finire mai. Ecco, forse dovremmo, per un attimo, ribaltare i ruoli. E pensare che quando le limitazioni termineranno definitivamente e torneremo a muoverci e ad uscire di casa, saranno loro ad attendere con ansia ed impazienza il nostro ritorno, esattamente come noi, pervasi dai medesimi sentimenti, abbiamo atteso la fine del "lockdown", per sentirci di nuovo liberi di vivere appieno la nostra vita. E chiederanno attenzioni, le stesse che noi abbiamo chiesto loro quando ci sentivamo soli e bisognosi di affetto. Se sapremo ricordacene, vorrà dire che questa fase della nostra vita, così unica e particolare, ci avrà davvero aiutato a rivedere la scala delle priorità rendendoci, forse, meno egosti. E io..beh, sarà per gli anni che avanzano, ma credo non rinuncerò alla mia attività da "umarell" con Pulce, affacciati alla finestra. Quella finestra preferita che, in un tempo di isolamento e privazioni, è diventata una porta aperta sul mondo da cui assaporare, nella calma ritrovata, la libertà. Osservando quella vita che, nonostante tutto, ha continuato la sua strada.