PERCORSI MODENESI

Strade e palazzi, giardini e cortili, vicoli e piazze. Modena il panorama completo di tutto quanto si può trovare e ammirare in una città che vanta tremila anni di storia, di vita e di vite.
Ogni sasso racconta una storia, ogni angolo è stato teatro di qualcosa, ogni scalinata ha raccolto un sospiro, una carezza…di queste pietre e di questi attimi si occupa Giulia Squadrini in queste pagine di Arte di Vivere. Abbiamo iniziato con una delle vie più belle, importanti e “parlanti” del centro di Modena. Ecco quindi la seconda puntata dedicata a Corso Canalgrande.

SEGUI LE VIE DELL’ ACQUA E A MODENA ARRIVERAI OVUNQUE  II

Di Giulia Squadrini

Siamo alla chiesa di San Vincenzo. Da quasi due secoli, nella cappella funebre annessa alla chiesa, si conservano le spoglie della maggioranza dei duchi estensi e dei membri della loro famiglia, costituendo così il “pantheon atestinum” che in origine doveva essere la chiesa di Sant’Agostino. E nella chiesa dopo cinque anni, è ritornata da poco al suo posto, nella prima cappella a sinistra, la famosa tela del Guercino (San Gregorio legge una carta che gli porge San Giovanni Evangelista) in parte “sfigurata” dai ladri. Infine, qui ogni estate, il 7 agosto, attraverso una botola nella navata si apriva il pozzo di San Gaetano, dedicato al fondatore dell’ordine teatino. Un pozzo che attingeva ad una sorgente antica di acqua che si considerava miracolosa. Di fronte alla chiesa, tra i palazzi sotto il portico, è da ricordare il palazzo Delfini (n.civico 60), ora sede di uffici giudiziari, che era la casa dello scrittore Antonio Delfini cui è dedicata la biblioteca civica collocata poco più avanti nel palazzo Santa Margherita. Dalle finestre del piano nobile dove abitava, Delfini osservava la facciata della chiesa e i ragazzi che uscivano dal contiguo ex convento dei teatini trasformato ai suoi tempi in collegio. Dagli anni sessanta del novecento ospita il tribunale e del progetto originario di Guarini Guarini conserva soltanto la bella facciata sul corso e quella sul cortile interno. Accanto al tribunale sorge uno dei palazzi di maggior spicco del corso, Palazzo Sabatini Carbonieri, restaurato in anni recenti e restituito al suo colore primitivo, verde chiaro. È un raro esempio di palazzo settecentesco del centro storico conservato integralmente nelle sue decorazioni originarie. Vi ebbe sede per lunghi anni la biblioteca civica, fino al 1992, e ora è sede della Pretura e non più di libero accesso. Tuttavia, se si fa capolino dal portone, potranno osservarsi sul fondo del cortile le pregevoli statue simboliche della Secchia e del Panaro scolpite quasi due secoli prima di quelle del Graziosi in largo Garibaldi. E se si immagina quel palazzo nell’epoca in cui fu costruito, non si può che vedere i distinti conti Sabbatini, nobili partiti dalle modeste origini fananesi e in ascesa sociale vertiginosa, varcare quella soglia e, dopo aver fatto sfilare la carrozza oltre il cortile nel retrostante vicolo Venezia, salire a destra lo scalone decorato dal celebre pittore Francesco Vellani con la gloria della loro casata. Giuliano e il nipote Alessandro ne furono i più insigni rappresentanti, entrambi ebbero incarichi prestigiosi alla corte ducale, il primo fu ambasciatore, ministro e Consigliere di Stato di Rinaldo d’Este, quindi divenne vescovo di Modena, mentre il secondo fu Segretario di guerra e Consigliere di Stato del duca Francesco III. Di fronte al loro palazzo scopriamo la dimora di un’altra casata illustre e di ben maggiore antichità, quella dei conti Cesi o Cesis, le cui origini risalgono al mille (furono poi signori di Pompeano, Gombola e Talbignano). Il rappresentante più illustre della famiglia fu Ferdinando la cui madre, la nobile Cornelia, ospitò Montesquieu nel suo salotto nel 1729. La famiglia, nell’Ottocento, si unì ai Calori. Se si varca il grande atrio si accede a sinistra al sontuoso scalone opera del reggiano Andrea Tarabusi, grande protagonista dell’architettura emiliana del Settecento. E una curiosa statua di fanciulla reggi fiaccola, abbigliata come una vestale, accoglie chi sale tra la prima e la seconda rampa. Le pareti del fastoso scalone furono affrescate dal celebre pittore Ludovico Bosellini che decorò anche il cortile del palazzo ducale estese di Sassuolo con architetture illusionistiche. Se poi proseguiamo discendendo nel cortile, sul fondo troviamo un cancello che chiude l’affaccio su un inatteso vicolo, chiamato Cesis dalla stessa famiglia del palazzo, che si snoda dietro molti dei palazzi di quel persane in direzione parallela al Canalgrande, da piazzale Boschetti a via San Giovanni del Cantone. I palazzi aristocratici del lato orientale del lungo corso potevano disporre di maggiori spazi rispetto a quelli sul lato occidentale e dunque i loro giardini e orti erano immensi essendo nell’area periferica contigua alle mura. Ora ritorniamo lungo il portico del Canalgrande e davanti a noi troviamo il lungo prospetto del teatro comunale ottocentesco costruito nel 1841 su disegno di Francesco Vandelli per sostituire quello ormai angusto che si trovava nell’angolo nord orientale dell’incrocio tra via Farini e via Emilia. Una statua bronzea, posta di recente nel portico tra Canalgrande e via Goldoni, celebra il nostro tenore a cui è dedicato il teatro, Luciano Pavarotti.

Ed è quello stesso incrocio che il giovane Delfini nel 1918 incontrava, da ragazzino, (in un toccante racconto della raccolta “I ricordi della Basca” del 1938 ) quello che definiva Il Carrobbio del Risorgimento, tra Corso Umberto I (il nome del Canalgrande all’epoca), via Fonteraso, l’angolo del palazzo Santa Margherita, ex chiesa e monastero e allora sede del Patronato dei figli del Popolo e il celebre palazzo di Ciro Menotti. Era in questo edificio, acquistato dal giovane Menotti con le ricchezze accumulate dalle sue attività manifatturiere, che nella notte del 3 febbraio 1831 si era asserragliato con una cinquantina di patrioti per organizzare la grande rivolta che, in origine, vedeva alleato il duca estense Francesco IV. Ma questi, timoroso delle ripercussioni di un suo coinvolgimento in un progetto di regno anti austriaco, lo tradì. Quella notte fece attaccare i patrioti nel palazzo dalle guardie ducali e, date le resistenze degli insorti, egli stesso intervenne facendo sparare vari colpi di cannone che provocarono la resa dei patrioti. Menotti aveva cercato di fuggire sul retro ma si ferì e fu catturato e imprigionato con molti altrui suoi compagni. Dopo quasi quattro mesi, il 26 maggio, fu impiccato sulle mura della cittadella nel luogo dove ora sorge un piccolo monumento in suo ricordo. Ma ormai stiamo arrivando alla fine dei 500 metri della strada più importante della città tra quelle che la percorrono da sud verso nord. Ora dobbiamo abbandonare le acque del Canalgrande che svoltano verso sinistra lungo via Fonteraso, poi scorrono dietro ai palazzi che si affacciano sul lato orientale di Piazza Roma e nell’area di piazzale San Giorgio si uniscono a quelle del Canalchiaro per formare il Naviglio. Proseguendo la nostra camminata, invece, superiamo il palazzo Tardini che fronteggia il palazzo Santa Margherita e concludiamo la nostra passeggiata nell’ultimo tratto “ducale” della via. A sinistra, infatti, superiamo il cortile del complesso del palazzo ducale, un tempo giardino privato dei duchi e ora parte integrante degli edifici dell’Accademia militare; sul lato opposto invece scorriamo il lungo prospetto delle ex scuderie ducali ora dell’Accademia scandite da portoni monumentali a arco sovrastati da mascheroni.

Il tratto finale, ora alberato, ci introduce al termine del corso, chiuso dall’ampio e ordinato spazio verde dei giardini ducali. Ed è fermandoci davanti ai cancelli ed osservando l’elegante prospetto della barocca palazzina dei Giardini, introdotta da un ampio sentiero ghiaiato e affiancata da verdi aiuole, che ci congediamo dopo aver salutato quelle acque sotterranee che per secoli hanno dato forma a questo grande corso e alle vie dell’intera città.